Antonio Moresco
Antonio Moresco
di Fabio Donalisio

[nell’immagine: Antonio Moresco, foto di Pierantonio Tanzola]

“Sono nato il 30 ottobre 1947, all'imbrunire, brandello di carne rigettato con furia da un altro corpo, concepito nove mesi prima da un soldato reduce dalla più grande guerra combattuta su questo pianeta e da sei anni di campo di concentramento, e da una domestica non più giovane, sventrata al momento del parto dalla mia grossa testa infelice. Sono morto il 30 ottobre 2010, nel cuore della notte, investito da una macchina mentre camminavo per strada succhiando un tronchetto di liquirizia e fantasticavo.
Finora solo qualche grande poeta antico ci aveva raccontato la discesa di eroi vivi nel regno dei morti, o aveva preteso di essere andato di persona, da vivo, nell'aldilà e di esserne poi ritornato. Io sono il primo che vi racconta, da morto, quello che succede nel regno dei morti.”


CHI HA GIÀ seguito Antonio Moresco nella sua personale – e quindi universale – discesa agli inferi non si stupirà di questo incipit, che segna l'apertura – nonché la fine – della trilogia tripartita che, secondo le intenzioni dell'autore, chiude la sua esperienza (e corsivo sia, perché la parola è chiave) di scrittura per aprirne un'altra, sempre a suo dire (in una recente intervista), di assenza, di sparizione, di ritorno non alla terra ma dentro la terra. Al fondo della terra. Non si stupirà perché il protagonista, Antonio, il Matto, è già nato e morto altre volte, in queste migliaia di pagine che molti dicono di adorare, troppi deridono e pochi probabilmente leggono. Eppure è una manciata di righe stupefacenti, che raccolgono, condensano e pressano tutto un percorso esperienziale, infero e violento eppure miracolosamente, anche fastidiosamente puro, di uno scrittore-dio (anche su questo torneremo) che si pone in una completa antitesi con il tempo, il suo tempo, tutto il tempo.
Giusto lo scorso mese si ragionava su queste pagine di autofiction, di necessità dell'evidenza come garante “letterario” sia della propria esistenza in quanto autore – e quindi essere umano – sia della propria credibilità in quanto trasmettitore di tale esperienza. Moresco sembra (Moresco sembra sempre fare qualcosa, ed è forse questo uno dei suoi segreti, perché è un sembra tanto ingannevole quanto il qualcosa è vero) porsi in pieno all'interno di tale canovaccio. Dati biografici precisi, e non da ora, dagli Esordi, dalla messa in scena – quella sì, vera, superba fiction – del mondo editoriale italiano che è Lettere a nessuno; utilizzo effettivo della propria esperienza di uomo come grimaldello per un continuo, e sempre più profondo altrove. Non magico, tantomeno nella versione realismo; non surreale, perché presupporrebbe un'antitesi tra reale e non. Quella che Moresco cerca è forse una realtà – o meglio, una verità, perché nella realtà evidentemente non crede – totale, che sia però totalmente nel linguaggio, con tutte le sue vertigini, e la noia, l'irritazione, l'eritema, anche. […]

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