Anatomie in corpore vili II
Anatomie in corpore vili II
di Maurizio Bianchini
[nell’immagine: l’auto su cui si schiantò James Dean]
‘Vox clamans in deserto’… (Kierkegaard e Poe)
1.
Come Stendhal, anche Kierkegaard era convinto che il suo momento sarebbe venuto dopo morto. Ma a differenza del console francese a Civitavecchia, persuaso che a riscoprirlo sarebbe stati lettori che gli volevano bene, il filosofo danese temeva che la sua morte ‘avrebbe dato parecchio da fare ai docenti... Sarò stampato e ristampato, letto e riletto. Essi mi convertiranno in un articolo di lucro; mi faranno oggetto del ‘docere’, forse con l'aggiunta: per es. la sua proprietà è che non si può ‘docere.” Pochi sono stati tanto chiaroveggenti, in una materia così incerta. Sarà stampato e ristampato, in effetti, a sessant’anni e più dalla sua morte, in un’Europa in ginocchio, appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale (sul ‘ letto e riletto’ andrei più cauto: arrivare alla fine della Malattia Mortale è impresa da rocciatori dello spirito). E darà anche parecchio da fare ai ‘docenti’ (Heidegger e Sartre in primis, i demiurghi dell’esistenzialismo filosofico che prese da lui molti ferri del mestiere). Perfino sulla questione del lucro ci vide bene: la Rive Gauche, Juliette Greco, Lo straniero. Non ci fosse stato Kierkegaard non avremmo conosciuto questo raffinato mal d’esprit, una banale infelicità non sarebbe diventata angoscia letteraria e mercato di nicchia e al posto degli chansonnier ci saremmo curati con gli psicanalisti. E però. Un pensatore tragico e pessimista, il più pessimista, con Pascal, finito suo malgrado a fare da chaperon a tiratardi in maglione dolce vita nero che ascoltano jazz penitenziale fumando Gaulois. I suoi studiosi più devoti e seri non l’hanno presa bene. Si può capire che si siano risentiti, ma prendere i toni di certe vedove di scrittori illustri, custodi arcigne di quel che essi ‘hanno detto davvero’ e che, non di rado, è ciò che loro stesse hanno messo in bocca ai venerati maestri. Ma nulla, quanto l’essere fraintesa, testimonia il successo di un’idea. L’arte e il pensiero non hanno una loro vita separata. Essi esistono solo nelle interpretazioni che li rendono presenti e vitali. Gli occhi di Stendhal non vedono lo stesso Caravaggio che riempie quelli di Longhi. E l’Ulisse che amiamo nella Divina Commedia non è verosimilmente lo stesso uscito dalla testa di Dante. Ma sono veri entrambi. Le figure dell’arte sono ubique e polimorfe. Anche quando finiscono nel tritacarne dello spettacolo, del costume, delle mode. […]
…segue per 10 pagine nel numero 221 di Blow Up, in edicola a Ottobre 2016 al costo di 6 euro
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
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‘Vox clamans in deserto’… (Kierkegaard e Poe)
1.
Come Stendhal, anche Kierkegaard era convinto che il suo momento sarebbe venuto dopo morto. Ma a differenza del console francese a Civitavecchia, persuaso che a riscoprirlo sarebbe stati lettori che gli volevano bene, il filosofo danese temeva che la sua morte ‘avrebbe dato parecchio da fare ai docenti... Sarò stampato e ristampato, letto e riletto. Essi mi convertiranno in un articolo di lucro; mi faranno oggetto del ‘docere’, forse con l'aggiunta: per es. la sua proprietà è che non si può ‘docere.” Pochi sono stati tanto chiaroveggenti, in una materia così incerta. Sarà stampato e ristampato, in effetti, a sessant’anni e più dalla sua morte, in un’Europa in ginocchio, appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale (sul ‘ letto e riletto’ andrei più cauto: arrivare alla fine della Malattia Mortale è impresa da rocciatori dello spirito). E darà anche parecchio da fare ai ‘docenti’ (Heidegger e Sartre in primis, i demiurghi dell’esistenzialismo filosofico che prese da lui molti ferri del mestiere). Perfino sulla questione del lucro ci vide bene: la Rive Gauche, Juliette Greco, Lo straniero. Non ci fosse stato Kierkegaard non avremmo conosciuto questo raffinato mal d’esprit, una banale infelicità non sarebbe diventata angoscia letteraria e mercato di nicchia e al posto degli chansonnier ci saremmo curati con gli psicanalisti. E però. Un pensatore tragico e pessimista, il più pessimista, con Pascal, finito suo malgrado a fare da chaperon a tiratardi in maglione dolce vita nero che ascoltano jazz penitenziale fumando Gaulois. I suoi studiosi più devoti e seri non l’hanno presa bene. Si può capire che si siano risentiti, ma prendere i toni di certe vedove di scrittori illustri, custodi arcigne di quel che essi ‘hanno detto davvero’ e che, non di rado, è ciò che loro stesse hanno messo in bocca ai venerati maestri. Ma nulla, quanto l’essere fraintesa, testimonia il successo di un’idea. L’arte e il pensiero non hanno una loro vita separata. Essi esistono solo nelle interpretazioni che li rendono presenti e vitali. Gli occhi di Stendhal non vedono lo stesso Caravaggio che riempie quelli di Longhi. E l’Ulisse che amiamo nella Divina Commedia non è verosimilmente lo stesso uscito dalla testa di Dante. Ma sono veri entrambi. Le figure dell’arte sono ubique e polimorfe. Anche quando finiscono nel tritacarne dello spettacolo, del costume, delle mode. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000