Almamegretta
Almamegretta
di Carlo Babando

IN PROCINTO di partire con il tour celebrativo per il trentennale del loro album più amato, “Sanacore”, gli Almamegretta rimangono un gruppo che non ha perso un briciolo di ispirazione. L’ultima prova discografica, “Senghe”, nel 2022 ce li mostrava ancora incredibilmente affiatati e affilati nel rimettere mano a quella personalissima miscela di tradizione partenopea, giamaicana e black british capace di renderli un unicum nel panorama degli anni Novanta (in Italia e non solo). Ne abbiamo parlato con Gennaro Tesone, Pier Paolo Polcari e Gennaro Della Volpe, che hanno ripercorso in totale libertà un pezzo della propria storia artistica e personale nei panni di Gennaro T, Pablo e Raiz. Insieme a noi – attraverso i tanti ricordi e le risate per quei tempi eroici – anche Stefano Facchielli, che con il moniker di D.RaD ha allargato i confini sonori della band fino all’incidente fatale che lo ha portato via nel 2004. Insomma, se state leggendo queste righe nel momento della loro pubblicazione, non vi resta che guardare in rete e scoprire se gli Almamegretta stanno per suonare dalle vostre parti. E magari provare anche a farvi un giro sul loro profilo Spotify: dovrebbero già essere uscite un paio di sorprese che vi piaceranno.

Partiamo da “Sanacore”. È stato pubblicato nel 1995, un momento che viene definito quasi di passaggio per chi faceva musica in Italia. Ma era davvero così?
Tra la fine degli anni Ottanta e il decennio successivo c’era il sentore che le cose musicalmente stessero cambiando, che qualcosa si stesse esaurendo per lasciare posto ad altro. Anche dal punto di vista della “tecnologia”, basta pensare al lavoro sempre più preciso con i samples. Quando abbiamo iniziato a fare le prime demo si avvertiva nell’aria questa sensazione e abbiamo provato a interpretarla. I dischi che uscivano all’alba degli anni Novanta, per intenderci, sembravano quasi parlare un alfabeto che si stava ancora decifrando e al quale sentivamo l’esigenza di voler contribuire. L’utilizzo dei sintetizzatori e delle drum machine, abbinato alle sperimentazioni con il campionatore, hanno spinto progressivamente a ripescare nei brani dei Sessanta e dei Settanta utilizzando sonorità meno fredde: basta pensare all’uso che si è fatto del classico drum loop di James Brown, su cui hanno messo le mani in tantissimi. Ne emergeva un’atmosfera più soul, vicina alla cultura hip hop, che ci appariva come una sorta di incantesimo. […]

…segue per 6 pagine nel numero 322 di Blow Up, marzo 2025

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