Alex Chilton
Alex Chilton
di Eddy Cilìa
OGGI CHE ne è da decenni ai margini fa strano ricordarlo, ma ci fu un tempo in cui al centro della popular music c’era il rock: epoca che, osservata dalla parte di chi scrive, appare tanto più favolosa in quanto la critica poteva risultare decisiva nel lanciare carriere. A ogni livello, dai periodici specializzati da decine o centinaia di migliaia di copie alla pagina spettacoli del quotidiano locale. Nondimeno: pure applicando i parametri di quell’Età dell’Oro pare pura follia quanto John King, comproprietario della Ardent Records, organizzava in collaborazione con Jon Tiven, un giovanotto sia giornalista che musicista, e Greg Shaw, fondatore della rivista in attesa di diventare anche un’etichetta “Bomp!”, per il weekend del Memorial Day del 1973. Laddove si diceva tutto fosse iniziato, e non erano trascorsi che diciannove anni ma sembrava un secolo, ossia a Memphis, Tennessee, sede di quella Sun nel cui studiolo Elvis aveva registrato That’s Alright Mama, i tre mettevano in piedi la prima “Rock Writers Convention” invitando a parteciparvi oltre un centinaio di rappresentanti della carta stampata nordamericana e britannica. Completamente spesati, biglietti aerei, benzina, alberghi, pranzi, cene, alcolici, tutto sul conto di una Stax che da lì a un anno e mezzo dichiarerà bancarotta, per un ammontare in valuta odierna di un quarto di milione di dollari. E con quale scopo ufficialmente, oltre che per incoraggiare una riflessione sulla funzione della critica e la nascita di un sindacato di categoria? Per promuovere negli USA tali Skin Alley, mediocre prog band inglese fresca di svolta commerciale disgraziatamente in ritardo sui Blood, Sweat & Tears e in anticipo sul boom dei Chicago. Visto che c’erano, mettevano in cartellone pure dei ragazzi di casa.
“Puke on your momma’s pussy! Big Star!”: impadronitosi di un microfono così un Richard Meltzer in chiaro stato di alterazione etilica introduceva allo scoccare della mezzanotte fra sabato e domenica il chitarrista Alex Chilton e il bassista Andy Hummel, ventiduenni, e il ventenne batterista Jody Stephens. Che con gran flemma armeggiavano per diversi minuti con strumenti e amplificatori di fronte a una platea via via più irrequieta ma conquistata per sempre sin dal primo accordo di una Feel archetipo di power pop con tracce di errebì. Arrivati che erano alla quarta canzone, un’esplosiva e per loro atipica giacché zeppelliniana Don’t Lie To Me, non vi era in sala una sola persona che non stesse ballando, applaudendo, fischiando, blaterando estasiata. Per quanto ubriaco o strafatto fosse (ci fu un tempo in cui chi scriveva di rock poteva essere più rock di quelli di cui scriveva e basti come esempio Lester Bangs; quella notte uno dei più sobri, figuratevi in che condizioni gli altri) nessuno dei testimoni di un’esibizione immediatamente ammantata di leggenda la dimenticherà mai. Sfortunatamente, nessuna apologia di grandezza riuscirà a rendere i Big Star delle star. “Born Under A Bad Sign”, per dirla con Albert King e Chilton avrebbe apprezzato il riferimento all’amatissima astrologia. […]
…segue per 14 pagine nel numero 322 di Blow Up, marzo 2025
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.

“Puke on your momma’s pussy! Big Star!”: impadronitosi di un microfono così un Richard Meltzer in chiaro stato di alterazione etilica introduceva allo scoccare della mezzanotte fra sabato e domenica il chitarrista Alex Chilton e il bassista Andy Hummel, ventiduenni, e il ventenne batterista Jody Stephens. Che con gran flemma armeggiavano per diversi minuti con strumenti e amplificatori di fronte a una platea via via più irrequieta ma conquistata per sempre sin dal primo accordo di una Feel archetipo di power pop con tracce di errebì. Arrivati che erano alla quarta canzone, un’esplosiva e per loro atipica giacché zeppelliniana Don’t Lie To Me, non vi era in sala una sola persona che non stesse ballando, applaudendo, fischiando, blaterando estasiata. Per quanto ubriaco o strafatto fosse (ci fu un tempo in cui chi scriveva di rock poteva essere più rock di quelli di cui scriveva e basti come esempio Lester Bangs; quella notte uno dei più sobri, figuratevi in che condizioni gli altri) nessuno dei testimoni di un’esibizione immediatamente ammantata di leggenda la dimenticherà mai. Sfortunatamente, nessuna apologia di grandezza riuscirà a rendere i Big Star delle star. “Born Under A Bad Sign”, per dirla con Albert King e Chilton avrebbe apprezzato il riferimento all’amatissima astrologia. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000