20 ESSENTIALS: White Blues USA 1965-1972
20 ESSENTIALS: White Blues USA 1965-1972
di Piercarlo Poggio con Stefano I. Bianchi e Roberto Municchi
[foto: Mike Bloomfield, 1965]
Nel presentare le vicende del british blues (BU#216) notavamo quanto e come negli anni Sessanta il successo e la diffusione del blues in Inghilterra avessero inciso sulla riscoperta del genere negli Stati Uniti, cioè là dove tutto era iniziato sul finire dell’Ottocento. La valorizzazione “di ritorno” degli interpreti afroamericani grazie ai sommovimenti giovanili esplosi in terra inglese è fenomeno senz’altro bizzarro, da inquadrare tuttavia nel continuo e secolare andirivieni dei flussi sonori tra le diverse sponde dell’Atlantico che la storia musicale ha più volte proposto. Ma oltre al rinnovato interesse per i vecchi bluesmen, sul suolo statunitense il successo delle rock band britanniche impregnate di blues avrebbe acceso il fuoco, seppure con una leggera sfasatura temporale, anche tra i giovani artisti bianchi. In realtà il loro ritardo è essenzialmente discografico, e per lo più dovuto al fatto di non aver inquadrato in maniera immediata la meta a cui pervenire. Prendono sì coscienza del potenziale racchiuso nel blues, ne fanno il loro credo e tuttavia, almeno in una prima fase, mancando di preveggenza e visionarietà, si accontentano di osservarlo con rispetto, di assorbirlo senza necessariamente tendere a variarne il gusto.
A scavare nelle biografie di Paul Butterfield e Michael (Mike) Bloomfield – che possiamo assumere in qualità di archetipi – appare evidente come inizialmente si limitino ad apprendere i fondamentali del blues ortodosso. Aspirano allo status di bluesmen, non a sperimentare forme di ibridazione, idea che invece scatta in modo istintivo e fulmineo nelle menti dei rocker inglesi. Paul e Mike nascono a Chicago, il blues lo ascoltano alla radio, si dilettano a formare band adolescenziali, poi frequentano i locali del South Side e accostano i maestri afroamericani, entrano a far parte dell’entourage, con loro suonano dal vivo e talvolta incidono, sino a essere accettati come pari. Butterfield è accompagnatore di Muddy Waters già verso il culmine degli anni Cinquanta e Bloomfield è presente in “Broke And Hungry” (registrato nel 1963 ma edito nel 1965) di Sleepy John Estes e “Mandolin Blues” (1964) di Yank Rachell, entrambi pubblicati dalla Delmark, e in altri lp di Little Brother Montgomery, Sunnyland Slim, St. Louis Jimmy, Washboard Sam. Estes, classe 1899, e Rachell, nato nel 1910, sono due vecchie glorie del Tennessee. Dopo attimi di fama negli anni Trenta, scompaiono dalle scene nel secondo dopoguerra e vi ritornano soltanto nei Sessanta grazie alla rivalutazione del blues operata nei campus universitari e nei folk club. […]
…segue per 20 pagine nel numero 222 di Blow Up, in edicola a Novembre 2016 al costo di 6 euro
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#222) al costo di 10 euro - spese postali incluse - e vi verrà spedito immediatamente via posta prioritaria. Se lo richiedete dopo il mese di riferimento dell’uscita vi verrà spedito, come ogni altro arretrato, con il primo invio mensile di abbonamenti e arretrati.
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
[foto: Mike Bloomfield, 1965]
Nel presentare le vicende del british blues (BU#216) notavamo quanto e come negli anni Sessanta il successo e la diffusione del blues in Inghilterra avessero inciso sulla riscoperta del genere negli Stati Uniti, cioè là dove tutto era iniziato sul finire dell’Ottocento. La valorizzazione “di ritorno” degli interpreti afroamericani grazie ai sommovimenti giovanili esplosi in terra inglese è fenomeno senz’altro bizzarro, da inquadrare tuttavia nel continuo e secolare andirivieni dei flussi sonori tra le diverse sponde dell’Atlantico che la storia musicale ha più volte proposto. Ma oltre al rinnovato interesse per i vecchi bluesmen, sul suolo statunitense il successo delle rock band britanniche impregnate di blues avrebbe acceso il fuoco, seppure con una leggera sfasatura temporale, anche tra i giovani artisti bianchi. In realtà il loro ritardo è essenzialmente discografico, e per lo più dovuto al fatto di non aver inquadrato in maniera immediata la meta a cui pervenire. Prendono sì coscienza del potenziale racchiuso nel blues, ne fanno il loro credo e tuttavia, almeno in una prima fase, mancando di preveggenza e visionarietà, si accontentano di osservarlo con rispetto, di assorbirlo senza necessariamente tendere a variarne il gusto.
A scavare nelle biografie di Paul Butterfield e Michael (Mike) Bloomfield – che possiamo assumere in qualità di archetipi – appare evidente come inizialmente si limitino ad apprendere i fondamentali del blues ortodosso. Aspirano allo status di bluesmen, non a sperimentare forme di ibridazione, idea che invece scatta in modo istintivo e fulmineo nelle menti dei rocker inglesi. Paul e Mike nascono a Chicago, il blues lo ascoltano alla radio, si dilettano a formare band adolescenziali, poi frequentano i locali del South Side e accostano i maestri afroamericani, entrano a far parte dell’entourage, con loro suonano dal vivo e talvolta incidono, sino a essere accettati come pari. Butterfield è accompagnatore di Muddy Waters già verso il culmine degli anni Cinquanta e Bloomfield è presente in “Broke And Hungry” (registrato nel 1963 ma edito nel 1965) di Sleepy John Estes e “Mandolin Blues” (1964) di Yank Rachell, entrambi pubblicati dalla Delmark, e in altri lp di Little Brother Montgomery, Sunnyland Slim, St. Louis Jimmy, Washboard Sam. Estes, classe 1899, e Rachell, nato nel 1910, sono due vecchie glorie del Tennessee. Dopo attimi di fama negli anni Trenta, scompaiono dalle scene nel secondo dopoguerra e vi ritornano soltanto nei Sessanta grazie alla rivalutazione del blues operata nei campus universitari e nei folk club. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000