20 ESSENTIALS: Reggae 1970-1979
20 ESSENTIALS: Reggae 1970-1979
di Mauro Zanda con Carlo Babando e Christian Zingales
Prima di scrivere questa introduzione mi sono a lungo domandato su quale fosse il rapporto tra il lettore tipo di Blow Up (se mai ne esiste uno) e la musica reggae; di sicuro poco amata dal pubblico di derivazione rock, troppo spesso associata a stereotipi che, almeno in parte, la confinano dentro domini di assoluta banalità e sessismo. La storia del giornale d’altronde lascia intravedere uno zoccolo duro duttile nei gusti, curioso e particolarmente ricettivo. Che però, appunto, negli anni ha forse evidenziato maggiore attenzione verso il lato sperimentale delle forme musicali di derivazione rock, chiamiamole così. L’obiettivo che mi sono prefisso, allora, era di porre l’accento sull’aspetto evoluzionistico della faccenda. Quello di un’esperienza unica al mondo, che non ha generato solo culi ondeggianti e bonghetti superflui, ma un radicale cambio di sintassi per tante, tantissime musiche della nostra contemporaneità. Un passaggio obbligato, dunque, per meglio comprendere la complessità dell’oggi. Perché, se non fu rivoluzione Copernicana amici, davvero poco ci manca. Prendiamo al volo Wikipedia a pretesto, e riportiamone la fredda definizione: “Il concetto di rivoluzione assume significati diversi a seconda che lo si guardi come un singolo e irripetibile fenomeno storico o che lo si consideri come una sorta di modello universale nel quale far rientrare i singoli elementi costitutivi”. A ben guardare, la rivoluzione giamaicana li incarna perfettamente entrambi. Fenomeno storico unico e forse irripetibile, prima forma d’espressione popolare capace di compiere il percorso di conquista inverso: dalla periferia dell’Impero al Nord del mondo. Modello universale, certamente: allorquando sviluppò una grammatica inaudita (centralità totemica del basso, scomposizione radicale del suono, canzoni dalla morfologia mutevole/mutante), ancor’oggi alla base di tutta la musica ritmica moderna. […]
…segue per 18 pagine nel numero 257 di Blow Up, in edicola a ottobre 2019
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#257) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Prima di scrivere questa introduzione mi sono a lungo domandato su quale fosse il rapporto tra il lettore tipo di Blow Up (se mai ne esiste uno) e la musica reggae; di sicuro poco amata dal pubblico di derivazione rock, troppo spesso associata a stereotipi che, almeno in parte, la confinano dentro domini di assoluta banalità e sessismo. La storia del giornale d’altronde lascia intravedere uno zoccolo duro duttile nei gusti, curioso e particolarmente ricettivo. Che però, appunto, negli anni ha forse evidenziato maggiore attenzione verso il lato sperimentale delle forme musicali di derivazione rock, chiamiamole così. L’obiettivo che mi sono prefisso, allora, era di porre l’accento sull’aspetto evoluzionistico della faccenda. Quello di un’esperienza unica al mondo, che non ha generato solo culi ondeggianti e bonghetti superflui, ma un radicale cambio di sintassi per tante, tantissime musiche della nostra contemporaneità. Un passaggio obbligato, dunque, per meglio comprendere la complessità dell’oggi. Perché, se non fu rivoluzione Copernicana amici, davvero poco ci manca. Prendiamo al volo Wikipedia a pretesto, e riportiamone la fredda definizione: “Il concetto di rivoluzione assume significati diversi a seconda che lo si guardi come un singolo e irripetibile fenomeno storico o che lo si consideri come una sorta di modello universale nel quale far rientrare i singoli elementi costitutivi”. A ben guardare, la rivoluzione giamaicana li incarna perfettamente entrambi. Fenomeno storico unico e forse irripetibile, prima forma d’espressione popolare capace di compiere il percorso di conquista inverso: dalla periferia dell’Impero al Nord del mondo. Modello universale, certamente: allorquando sviluppò una grammatica inaudita (centralità totemica del basso, scomposizione radicale del suono, canzoni dalla morfologia mutevole/mutante), ancor’oggi alla base di tutta la musica ritmica moderna. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000