20 ESSENTIALS: Psichedelia UK 1967-1973
20 ESSENTIALS: Psichedelia UK 1967-1973
di Roberto Municchi [con Stefano I. Bianchi, Roberto Calabṛ, Gino Dal Soler, Piergiorgio Pardo e Piercarlo Poggio]

[nell'immagine: Pink Floyd 1968]

“2500 anime al ballo inaugurale di IT… oscurità e luci intermittenti, gente in maschera, ragazze mezze nude, erba da fumare… I Pink Floyd fecero cose in sintonia con l’evento, grazie ai loro feedback e alle diapositive proiettate sulla pelle…gocce di vernice che colavano sui negativi creando immagini cosmiche… I Soft Machine entrarono in scena su una motocicletta rombante, con suoni patafisici e la voce inconfondibile di Robert Wyatt… Al centro della pista una grossa auto era stata dipinta con sgargianti colori in stile Pop Art…”. Lo stralcio della recensione della festa di inaugurazione di IT (International Times), foglio di riferimento della scena sotterranea londinese del periodo, pubblicata sulla stessa rivista un paio di settimane più tardi, rende come meglio non si potrebbe l’idea della follia creativa che anima il periodo. È il 16 ottobre 1966, Roundhouse, Londra: se non sono data e luogo di nascita della british psichedelia perlomeno sono quelli del suo battesimo.
L’ampliamento della coscienza, l’espansione dei confini della mente evocati dal termine psichedelia – unione delle parole di origine greca psykhé e délos - nella musica moderna si traducono in brani dalla struttura articolata che trascendono la forma canzone pop-rock com’era fino ad allora concepita, il suo minutaggio ridotto e tutta la semplice schematicità che sovente l’accompagnava mettendo in campo cambi di tempo, lunghi frangenti strumentali e un discreto spazio per le improvvisazioni. È il rock che diventa adulto, che espande i propri territori, che si nutre di nuovi stimoli culturali per andare oltre il concetto di musica da ballo e oltre la sfera del corpo esplorando l’universo della mente, che esprime insomma un’aria di estrema libertà e fa – metaforicamente – sognare e viaggiare. Lo fa con le parole dei testi, surreali e fantasiose, e con sonorità visionarie, dilatate, dissonanti, ricche di richiami esotici ed elementi ‘estranei’: suoni inconsueti di strumenti orientali come il sitar, effetti come feedback, wah wah o unità fuzzbox applicati agli strumenti tradizionali della musica rock, uso più consapevole degli strumenti elettronici, dello studio di registrazione e delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Il ruolo principale in tale contesto è assunto dalla chitarra elettrica, spesso distorta e lanciata in spericolate escursioni solistiche, e in misura minore dagli strumenti a tastiera, con innumerevoli intrecci tra i vari attrezzi. È arte per un pubblico maturo e attento, pronto a recepire una proposta che va oltre il facile ascolto, i ritornelli, i motivetti orecchiabili, i vecchi generi – rock’n’roll, beat, R&B, rock blues – e viaggia (termine quanto mai appropriato) verso un’altra dimensione.
Da tutto ciò ovviamente non sono esenti le droghe che stanno prendendo campo tra i giovani dell’epoca, soprattutto quelle allucinogene come l’LSD, l’acido lisergico scoperto dal chimico svizzero Albert Hoffman nel 1943, contestabile per i suoi devastanti effetti sulla mente umana ma additivo fenomenale per scatenare la fantasia e la creatività, che una volta entrato nel circuito dei musicisti cambia decisamente il corso della musica diventando uno dei mezzi da cui trarre ispirazione per le proprie composizioni. […]

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