20 ESSENTIALS: Progressive House 1990-1994
20 ESSENTIALS: Progressive House 1990-1994
di Christian Zingales
[nell'immaigne: Fabio Paras]
È il 1992 quando Dom Phillips in un articolo intitolato “Trance Mission” uscito su Mixmag parla per la prima volta di progressive house. Qualcosa che non ha nessun legame con il progressive rock, con cui invece ha in quel periodo qualche innesto il filone delle ibridazioni ambientali. Dalle parole di Phillips: “C’è un nuovo tipo di house inglese dura ma armonica, lanciata ma con una sua profondità, estatica e trancey, a suo agio con le platee balearic più trendy ma capace di ipnotizzare una folla da rave. Ancora una volta è possibile uscire e sentire roba pazza ma melodica che ti fa venire voglia di ballare. La chiameremo progressive house. È semplice, è funky, ha un gran tiro, ed è inconfondibilmente inglese. I nomi sono quelli di Leftfield, D.O.P., Sound Clash Republic, React 2 Rhythm, Gat Decor e Slam. Lo stile quello di una musica che cresce di intensità attraverso strati percussivi e lineari funky riff. È musica per strade aperte, house che fluisce e non ha bisogno di vibrare violentemente, di gran lunga più matura dei riff pronti da usare e dei breakdown preconfezionati di molto suono da rave. E molto più energica e divertente delle seriose e stimate con reverenza Dub della garage americana”. E continua: “Dove la musica da rave troppo spesso spinge sui bottoni emotivi e musicali più banali con il riff martellante presto raggiunto dagli archi impetuosi, la progressive house lavora il tuo cervello e il tuo corpo e la tua anima. Dove la garage americana ciondola su un bassdrum, qualche claps e l’ennesimo cantante soulful, la progressive eleva gli spiriti e muove le gambe e ipnotizza”. Nelle parole di Phillips c’era tutta l’eccitazione per la novità, non priva di quell’ingenuità che accompagna ogni innamoramento, quando tutto agli occhi sembra perfetto e definitivo e tutto il resto superato e marginale, che è in prospettiva il limite del nuovo quando cessa di esserlo. In realtà musica da rave e garage americana avevano già avuto tempo di raccontare tanto gli splendori quanto gli automatismi, e la progressive presto avrebbe fatto lo stesso. […]
…segue per 14 pagine nel numero 252 di Blow Up, in edicola a maggio 2019
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#252) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
[nell'immaigne: Fabio Paras]
È il 1992 quando Dom Phillips in un articolo intitolato “Trance Mission” uscito su Mixmag parla per la prima volta di progressive house. Qualcosa che non ha nessun legame con il progressive rock, con cui invece ha in quel periodo qualche innesto il filone delle ibridazioni ambientali. Dalle parole di Phillips: “C’è un nuovo tipo di house inglese dura ma armonica, lanciata ma con una sua profondità, estatica e trancey, a suo agio con le platee balearic più trendy ma capace di ipnotizzare una folla da rave. Ancora una volta è possibile uscire e sentire roba pazza ma melodica che ti fa venire voglia di ballare. La chiameremo progressive house. È semplice, è funky, ha un gran tiro, ed è inconfondibilmente inglese. I nomi sono quelli di Leftfield, D.O.P., Sound Clash Republic, React 2 Rhythm, Gat Decor e Slam. Lo stile quello di una musica che cresce di intensità attraverso strati percussivi e lineari funky riff. È musica per strade aperte, house che fluisce e non ha bisogno di vibrare violentemente, di gran lunga più matura dei riff pronti da usare e dei breakdown preconfezionati di molto suono da rave. E molto più energica e divertente delle seriose e stimate con reverenza Dub della garage americana”. E continua: “Dove la musica da rave troppo spesso spinge sui bottoni emotivi e musicali più banali con il riff martellante presto raggiunto dagli archi impetuosi, la progressive house lavora il tuo cervello e il tuo corpo e la tua anima. Dove la garage americana ciondola su un bassdrum, qualche claps e l’ennesimo cantante soulful, la progressive eleva gli spiriti e muove le gambe e ipnotizza”. Nelle parole di Phillips c’era tutta l’eccitazione per la novità, non priva di quell’ingenuità che accompagna ogni innamoramento, quando tutto agli occhi sembra perfetto e definitivo e tutto il resto superato e marginale, che è in prospettiva il limite del nuovo quando cessa di esserlo. In realtà musica da rave e garage americana avevano già avuto tempo di raccontare tanto gli splendori quanto gli automatismi, e la progressive presto avrebbe fatto lo stesso. […]
…segue per 14 pagine nel numero 252 di Blow Up, in edicola a maggio 2019
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000