20 ESSENTIALS: Minimalismo 1964-1989
20 ESSENTIALS: Minimalismo 1964-1989
di Gino Dal Soler con Antonio Ciarletta e Federico Savini
Dal punto di vista strettamente discografico si può dire che il minimalismo compie cinquant’anni, essendo il 1968 l’anno di uscita di “In C” di Terry Riley, anche se in verità “Reed Streams”, dello stesso Riley, era uscito nel 1966 su un’oscura e inosservata etichetta come Mass Art pur contenendo in embrione tutti gli elementi fondativi dei suoi pregiati Keyboard Studies e dello stesso osannato “A Rainbow In Curved Air”. La storia e la genesi del minimalismo è comunque ben più articolata e complessa; per esempio, possiamo dire che il suo stato nascente risale ad almeno un decennio prima, quando nel 1958 La Monte Young compose il suo misconosciuto – perché mai documentato su disco – “Trio For Strings”. L’idea, piuttosto semplice, partiva da un’annotazione dello stesso Young sulla musica di Webern, in cui specifiche note si ripetono sempre ad una particolare altezza introducendo il concetto di stasi e ripetizione all’interno di un mondo “atonale” come quello del serialismo e della dodecafonia di Schoenberg. Michael Nyman chiamò Minimal music, determinacy and the new tonality l’ultimo capitolo del suo “Experimental Music, Cage and Beyond” (1974), mettendo così in luce le caratteristiche basilari di quello che ancora non si definiva minimalismo, termine che prima di venir coniato in musica dallo stesso Nyman a proposito del “Great Learning” di Cornelius Cardew (1968) e poi sulle pagine del Village Voice da Tom Johnson (circa 1972), veniva usato nel mondo delle arti plastiche per definire artisti come Carl Andre, Donal Judd, Sol LeWitt, Robert Morris o Frank Stella, dove l’enfasi era posta sull’oggettività e sulla riduzione minimale della realtà, sull’antiespressività e su una certa freddezza emozionale che in verità non corrispondeva propriamente ai padri del minimalismo musicale. Se alcuni artisti visivi possono essere citati a livello d’influenza e suggestione, dovremmo pensare piuttosto ai monocromi blu di Yves Klein o a Mark Rothko, in quell’abbraccio totale tra arte e vita soprattutto in La Monte Young, ai Black Paintings di Frank Stella o al limite le visioni tra pop ed espressionismo astratto di Robert Rauschenberg, per non dire del dripping di Jackson Pollock. […]
…segue per 20 pagine nel numero 248 di Blow Up, in edicola a gennaio 2019
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#248) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Dal punto di vista strettamente discografico si può dire che il minimalismo compie cinquant’anni, essendo il 1968 l’anno di uscita di “In C” di Terry Riley, anche se in verità “Reed Streams”, dello stesso Riley, era uscito nel 1966 su un’oscura e inosservata etichetta come Mass Art pur contenendo in embrione tutti gli elementi fondativi dei suoi pregiati Keyboard Studies e dello stesso osannato “A Rainbow In Curved Air”. La storia e la genesi del minimalismo è comunque ben più articolata e complessa; per esempio, possiamo dire che il suo stato nascente risale ad almeno un decennio prima, quando nel 1958 La Monte Young compose il suo misconosciuto – perché mai documentato su disco – “Trio For Strings”. L’idea, piuttosto semplice, partiva da un’annotazione dello stesso Young sulla musica di Webern, in cui specifiche note si ripetono sempre ad una particolare altezza introducendo il concetto di stasi e ripetizione all’interno di un mondo “atonale” come quello del serialismo e della dodecafonia di Schoenberg. Michael Nyman chiamò Minimal music, determinacy and the new tonality l’ultimo capitolo del suo “Experimental Music, Cage and Beyond” (1974), mettendo così in luce le caratteristiche basilari di quello che ancora non si definiva minimalismo, termine che prima di venir coniato in musica dallo stesso Nyman a proposito del “Great Learning” di Cornelius Cardew (1968) e poi sulle pagine del Village Voice da Tom Johnson (circa 1972), veniva usato nel mondo delle arti plastiche per definire artisti come Carl Andre, Donal Judd, Sol LeWitt, Robert Morris o Frank Stella, dove l’enfasi era posta sull’oggettività e sulla riduzione minimale della realtà, sull’antiespressività e su una certa freddezza emozionale che in verità non corrispondeva propriamente ai padri del minimalismo musicale. Se alcuni artisti visivi possono essere citati a livello d’influenza e suggestione, dovremmo pensare piuttosto ai monocromi blu di Yves Klein o a Mark Rothko, in quell’abbraccio totale tra arte e vita soprattutto in La Monte Young, ai Black Paintings di Frank Stella o al limite le visioni tra pop ed espressionismo astratto di Robert Rauschenberg, per non dire del dripping di Jackson Pollock. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000