20 ESSENTIALS: Dub 1972-1996
20 ESSENTIALS: Dub 1972-1996
di Mauro Zanda con Carlo Babando e Christian Zingales
“Etereo, mistico, concettuale, fluido, all’avanguardia, grezzo, instabile, provocatorio, trasparente, postmoderno, dirompente, pesante, politico, enigmatico. . . il dub è molto più di un riddim e una bassline, anche se è certamente anche quello. Dub è un genere e un processo, un virus e un vortice”. (Paul Sullivan, Remixology: Tracing the Dub Diaspora, Reaktion Books 2014)
Nel tentativo, forse vano, di dare un senso articolato e razionale all’ineffabile nebulosa dub, potrebbe venirci in soccorso questo poetico passaggio posto in apertura. Perché, ça va sans dire, la domanda sorge spontanea: cos’è il dub? Genere musicale? Tecnica di registrazione? Categoria dello spirito? Suono, spazio e tempo? La risposta, avrete capito, giammai sarà univoca. Perché il dub, oltre ad essere tutte queste cose assieme, ne è anche il suo naturale surplus. Parafrasando la psicologia della Gestalt, l’insieme è più della somma delle sue parti. Come suggerisce la citazione, il dub è forse prima di ogni cosa essenzialmente un processo, ritmico e mentale, che al pari di un virus, replica se stesso in maniera contagiosa all’interno di organismi altri. Il dub d’altro canto, fu la prima forma musicale a riutilizzare in maniera programmatica materiale audio pre-registrato. Certo, c’erano già stati i contributi di due produttori rivoluzionari come Teo Macero (Miles Davis) e Gorge Martin (Beatles). Macero in particolare, incise in profondità il suo bisturi nelle infinite session di “Bitches Brew”, finendo quasi per manipolarne il DNA originario; ma si trattava per lo più di post-produzione creativa. Col dub, invece, quell’approccio alchemico si fa missione, e poi sistema. La tecnica va a braccetto con la mistica, l’ingegnere/produttore assurge al ruolo di artista e il bancone mixer, finalmente, a strumento principe. Attraverso un processo che, più che cannibale, somiglia ad una vera e propria vampirizzazione, capace ogni volta di generare nuovi spettri e demoni dal sangue di incolpevoli creature. […]
…segue per 18 pagine nel numero 256 di Blow Up, in edicola a settembre 2019
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#256) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
“Etereo, mistico, concettuale, fluido, all’avanguardia, grezzo, instabile, provocatorio, trasparente, postmoderno, dirompente, pesante, politico, enigmatico. . . il dub è molto più di un riddim e una bassline, anche se è certamente anche quello. Dub è un genere e un processo, un virus e un vortice”. (Paul Sullivan, Remixology: Tracing the Dub Diaspora, Reaktion Books 2014)
Nel tentativo, forse vano, di dare un senso articolato e razionale all’ineffabile nebulosa dub, potrebbe venirci in soccorso questo poetico passaggio posto in apertura. Perché, ça va sans dire, la domanda sorge spontanea: cos’è il dub? Genere musicale? Tecnica di registrazione? Categoria dello spirito? Suono, spazio e tempo? La risposta, avrete capito, giammai sarà univoca. Perché il dub, oltre ad essere tutte queste cose assieme, ne è anche il suo naturale surplus. Parafrasando la psicologia della Gestalt, l’insieme è più della somma delle sue parti. Come suggerisce la citazione, il dub è forse prima di ogni cosa essenzialmente un processo, ritmico e mentale, che al pari di un virus, replica se stesso in maniera contagiosa all’interno di organismi altri. Il dub d’altro canto, fu la prima forma musicale a riutilizzare in maniera programmatica materiale audio pre-registrato. Certo, c’erano già stati i contributi di due produttori rivoluzionari come Teo Macero (Miles Davis) e Gorge Martin (Beatles). Macero in particolare, incise in profondità il suo bisturi nelle infinite session di “Bitches Brew”, finendo quasi per manipolarne il DNA originario; ma si trattava per lo più di post-produzione creativa. Col dub, invece, quell’approccio alchemico si fa missione, e poi sistema. La tecnica va a braccetto con la mistica, l’ingegnere/produttore assurge al ruolo di artista e il bancone mixer, finalmente, a strumento principe. Attraverso un processo che, più che cannibale, somiglia ad una vera e propria vampirizzazione, capace ogni volta di generare nuovi spettri e demoni dal sangue di incolpevoli creature. […]
…segue per 18 pagine nel numero 256 di Blow Up, in edicola a settembre 2019
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#256) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000