Nico
Nico
Riccardo Bertoncelli

Ogni tanto NICO torna tra di noi – il mese scorso l’ha fatto con la ristampa ‘deluxe’ di “The End” – ma ogni giorno è giusto per ricordare la femme fatale e le “parole ebbre e solenni” della sua musica. “She lies in waterfalls of dreams/ And never questions what it means.”


L’UOMO PIÙ IMPORTANTE della vita di Nico non fu Andy Warhol, come tutti potrebbero pensare, bensì un fotografo oggi dimenticato, Herbert Tobias, che un giorno imprecisato alla metà dei ’50 diede all’adolescente Christa Paffgen il nome d’arte che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Era il nome di un fidanzato che aveva perduto, il regista Nikos Papatakis - sarebbe diventato un potente talismano. Christa era una splendida ragazza nata a Colonia con sangue turco nelle vene, che fin dai più teneri anni aveva conosciuto le asprezze della vita. Il padre era morto in un campo di concentramento, lei aveva smesso presto la scuola per guadagnarsi da vivere come sartina e commessa in un negozio di biancheria intima. A quindici anni era stata violentata da un militare delle forze americane che per lo stupro era stato condannato a morte. La sua era apparsa subito come una vita difficile e nessuna luce della ribalta avrebbe mai dissipato le ombre. Quando la incontrai ai tempi di The End, 1975, non provò nemmeno a nascondere quella sua “cicatrice interiore”, il dolore di anni tanto drammatici. Era una donna viva, bella, ma le si leggeva un senso di desolazione che la infiacchiva. “Era perennemente avvolta da un alone di tristezza”, ha detto bene una volta Iggy Pop. “Vivevo a Berlino quand’ero bambina,” mi raccontò quel giorno. “Ricordo il 1946. Tutto desolato, abbattuto. Tutto un mondo in macerie. Come Pompei, come la Grecia antica.” Quella confidenza mi colpì, la usai per chiudere l’intervista. Mi sembrava, mi sembra ancora, che racchiudesse il mondo antico e solenne in cui Nico effettivamente viveva, innamorata dei suoi ricordi, delle sue paure, di arcane fantasie - innamorata e prigioniera. La vita reale era distante, qualcosa che la metteva a disagio e che in qualche modo le sfuggiva. Quella distanza era una forbice, e presto l’avrebbe tagliata.
Nico evase in fretta dal negozio di lingerie, era troppo bella e seducente. Andò a Parigi, fece la fotomodella, attirò l’attenzione di Coco Chanel. Ma era inquieta, scappò anche da lì e si trasferì a New York, poi a Roma, dove Alberto Lattuada la avvicinò al cinema affidandole una particina ne La tempesta. Lei si mise d’impegno, seguì un corso di recitazione importante ma in realtà nessuno voleva che davvero recitasse. Era una statua greca in carne e sesso, era occhi profondi, sguardo altero e così la riprese Fellini in una scena famosa de La dolce vita, filmandola per quella che era; le lasciò anche il nome, Nico. Una pellicola epocale, ma pochi la notarono e lei riprese la sua vita errabonda e volatile. Posò per la copertina di uno storico disco di Bill Evans (Moonbeams) e si agganciò alla musica interpretando una canzone di Serge Gainsbourg che diventò il titolo di un film di Jacques Poitrenaud, Strip Tease. Intanto era diventata madre di Christian Aaron “Ari”, nato da una relazione con Alain Delon, mai riconosciuto dal padre, adottato dai nonni. Nico era troppo bella perché al suo cospetto non cadessero tante teste di uomini, e teste coronate. Si fidanzò con Brian Jones, che le offrì il primo contratto discografico (uno sciapo singolo per la Immediate), fece innamorare Dylan, che scrisse per lei I’ll Keep It With Mine, fu poi l’amica particolare di Jim Morrison e l’amante pedofila del giovanissimo Jackson Browne. […]


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